VOGLIO LA COLLA

Caro Gesù di Nazareth, sono troppo pigro per andare a ritroso e rileggere la lettera che ti ho mandato lo scorso anno e non mi sogno nemmeno di recuperare quella del 2019.

Sto vivendo sospeso, come tanti, forse come tutti, tra paura controllata e speranza repressa. Ho scoperto che le cose possono cambiare all’improvviso e stravolgere la vita quotidiana in poche ore, senza che questo cambiamento non richiesto abbia una data di scadenza. L’umore ne risente, abbi pazienza.

Vedi Gesù, lo so che questa è la condizione stabile dell’essere umano, solo che non l’avevo ancora sperimentato sulla mia pelle e, devo dirtelo, per quanto snob possa sembrare, non mi piace.

Per cinquantatrè anni ho ignorato tutto del termine “pandemia”. Dopo due anni potrei riuscire a parlarne per una buona mezz’ora con un medico preparato senza dire troppe idiozie. Pensare che sono riuscito a farmi rimandare di biologia al Ginnasio perchè trovavo noioso studiare l’apparato respiratorio, adesso se starnutisco ci manca poco che controlli la saturazione del sangue.

Alla fine ho imparato la lezione, so che non è detto che il prossimo Natale sarà diverso da questo, potrebbe persino essere peggiore. Ho interiorizzato l’idea che le cose si rompono e che non sempre rimetti insieme i cocci.

La vita del 2019 (che oggi guardo con nostalgia e allora osservavo con distacco) potrò riaverla tale e quale nel 2022 o nel 2023? Forse. Forse potrebbe essere persino più interessante, è vero, ma non me la sento di sperare nel migliore dei mondi possibili mentre sfioro quarantene, sommo dosi vaccinali, prevedo tamponi, cambio mascherine e invio condoglianze.

Si sono rotte tante certezze in questi due anni. Si sono rotte persino delle amicizie che credevo inossidabili sull’altare della scienza negata. Mi sono trovato sulla sponda di un fiume senza più un ponte per raggiungere gli amici, o quelli che erano tali fino a qualche tempo fa, dall’altra parte.

A dividerci è stata la fatica che si è sedimentata. Stiamo vivendo una lunga apnea, iniziata a marzo del 2020, che leviga i nervi fino a farli cedere, che mina la razionalità, che ti fa guardare il mondo che ti circonda senza riconoscerlo più.

Se non avessi l’affetto di chi mi è accanto, se non avessi due figli dei quali preoccuparmi, con i quali litigare e sanare i litigi, l’ansia potrebbe prendere il sopravvento rompendo anche la capacità di riconoscere le “cose buone” che ancora ci sono. Non avrebbe senso.

Allora, per Natale, caro Gesù, ti chiedo in dono solo un tubetto di colla. Voglio rimettere insieme i cocci di ciò che si è rotto, ho un futuro prossimo da costruire e condividere. Voglio arrivarci tutto intero, fiero delle mie cicatrici.

Con stima, buon Natale.

Nella foto di copertina: Gesù Bambino, sulla Batmobile, scortata da un crociato in arrivo a Betlemme.

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