Due giorni fa ho scoperto, grazie ai miei figlioli, che però sostengono sia meglio usare Face Time perchè così puoi trasformare la tua faccia in polipo, unicorno, pesce, robot e dio solo sa cos’altro, che con whatsapp è possibile fare le videochiamate. Mi sono sentito come Neil Armstrong che tocca il suolo lunare.

Non ho mai capito il senso delle videochiamate (ne conoscevo l’esistenza, questo sì, ma non le avevo mai fatte in rima persona) e non ho amo particolarmente i gruppi whatsapp. Come ogni possessore di smartphone sono iscritto a numerosi di questi gruppi pericolosi come la nitroglicerina durante un terremoto, ma ad uno in particolare sono legato. Lo abbiamo creato un paio d’anni fa e chiamato Rutto Libero. È composto da 4 persone. Ex ragazzi che conosco da quarant’anni e con le quali sono cresciuto. Le uniche che sanno tutto di me.

Ci vediamo una volta al mese. Condividiamo birra a fiumi, spaghetti aglio, olio, peperoncino, e chiacchiere in quantità. Parliamo di noi, del mondo, di cosa ci pesa e di cosa ci fa stare bene.

Giovedì scorso avremmo dovuto vederci. Ieri, colto dal raptus indotto dal mio figliolame, li ho videochiamati. Pochi secondi e avevo davanti a me uno schermo diviso in 4 e 4 facce da pirla stupite e sorridenti, che si chiedevano reciprocamente “Come stai?”. Il fatto è che quando ci chiediamo “come stai?”, non è tanto per dire, è che proprio vogliamo sapere come stiamo. Come stiamo “dentro”.

Avevamo la faccia di chi a cinquant’anni suonati, ha ancora la capacità di stupirsi e di volersi bene persino attraverso una videochiamata. Due parole, il caos solito delle voci che si sovrappongono, il disagio del dilettante digitale, risate, saluti, a presto. Click.

Chiusa la telefonata avevo quasi il groppo in gola e un sorriso ebete da quindicenne. Dopo un minuto uno dei tre scrive “Bello vedervi“.

Non so se il telefono allunga la vita, ma a volte, la rende più facile.

E Rutto Libero sia.