Chi segue questo blog forse lo ricorda. Giuseppe Russo è il Direttore del Centro Einaudi di Torino, un uomo di economia abituato a dare del tu ai numeri, con la massima concretezza possibile, ma non ama assecondare a priori il pensiero economico mainstream.
Ieri l’ISTAT (non il Bilderberg) ha previsto per l’economia italiana un drammatico -11%, “Un’impresa italiana su 3, a rischio chiusura“. Il Fondo Monetario, invece, non proprio un’istituzione di anime pie, vede addirittura, per noi, un bel -13%.
Conoscendo il professor Russo, il suo spirito critico e la profonda competenza, mi sono permesso di inviargli qualche domanda via mail. E lui, con la cortesia che lo contraddistingue, a stretto giro ha risposto.
– Il nostro PIL, si stima, crollerà dell’11%. Condividi questa ipotesi? E se sì, cosa si nasconde concretamente dietro quel “meno undici”?
No, non la condivido. In realtà, i 53 giorni di lockdown hanno arrestato non tutti i settori, e strettamente parlando la caduta di Pil, prodotto, è compresa tra il 3 e il 4 per cento. Più che assorbibile e recuperabile in dodici mesi. Il resto, per arrivare a 11, è basato sulle congetture degli analisti sulle spese delle persone e sugli investimenti delle imprese, entrambe bloccate dalla paura. Ma la paura è alimentata anche dalle previsioni “che fanno colpo”, come quelle del Fondo Monetario, che prevede il Pil italiano a -13 per cento. I modelli non hanno storie paragonabili, quindi si tratta di esercizi, ma che potrebbero realizzarsi perché influenzano le aspettative. Io avrei messo una moratoria, almeno agli organismi istituzionali, a produrre previsioni di variabili impattanti sulla spesa finale, come sono le previsioni sul Pil e sull’occupazione. Non si può affermare che non si lascia nessuno indietro, e poi prevedere un crollo drammatico. E’ pensare una cosa, farne un’altra e buttare benzina su un fuoco da spegnere. Per un anno sarebbe meglio che facessimo come i marinai, che misurano sempre le miglia percorse e non quelle da percorrere; se ci limitassimo ai consuntivi faremmo un servizio all’economia.
– Le misure prese dal Governo sembrano inefficaci e farraginose. Nel mio piccolo (partita IVA forfettaria) ho ricevuto solo i primi 600 euro. Siamo a metà luglio. Non oso pensare agli imprenditori e alla cassa integrazione che hanno dovuto anticipare…
Bisogna distinguere tre aspetti del problema, che si sono intrecciati. Il primo è restaurare il potere di acquisto di chi l’avesse perso. Il secondo è fornire liquidità ad imprese che potrebbero, astrattamente, tornare a marciare con le proprie gambe. Il terzo è la capacità di mettere a terra le politiche nel tempo che serve. Il governo ha risposto alle prime due esigenze con troppe misure. Questo ha inevitabilmente sovraccaricato la macchina burocratica, e i risultati sono stati misti. Tuttavia, il credito erogato per sostenere la liquidità alla fine è aumentato parecchio e l’Inps sta cercando di rimediare ai suoi ritardi. Una parte del problema della burocrazia nasce quando si scrivono i provvedimenti. Devono essere semplici subito, così non occorre semplificarli dopo le legittime proteste. Ma sarebbe bene ricordare a tutti che non esiste una sola economia, neppure più quella Cubana o Cinese, nelle quali famiglie e imprese aspettano il sostentamento dallo Stato. Il sostentamento viene dalla attività di mercato. A settembre il sostegno, necessario e doveroso, dovrà ridursi e saranno le imprese e le famiglie i protagonisti della ripresa. Senza di loro, non ci sarà.
–I bonus. Servono? Ho provato a richiedere quello delle vacanze, ma alla richiesta dell’ ISEE di mio padre (convivente) ho desistito. O mi dai denaro sonante o (forse colpa mia) non mi metto a compilare moduli per 150 euro difficili da spendere.
I bonus sono la conseguenza di una politica fiscale che è basata su una legge del 1973, quando l’economia era diversa da oggi, modificata di anno in anno. Così il prelievo è diventato mediamente alto, male distribuito, con una imposta progressiva e molte altre regressive. Allora i bonus cercano di rimediare. E’ vero che in emergenza non c’è tempo per fare una riforma fiscale, ma bisognerebbe almeno metterla in cantiere. Nel frattempo bisognerebbe ridurre i bonus al minimo essenziale. Anche perché sono spesa corrente finanziata con il deficit coperto dai titoli acquistati dalla Bce, ma nel 2021 le regole di sostenibilità del bilancio pubblico torneranno a chiedere la compressione della spesa corrente. Ci saranno le risorse del recovery fund e del Mes, ma sarebbe meglio indirizzarle sugli investimenti.
– L’economia globale è in affanno, alcuni mercati importanti (Brasile, India) rimangono semi-chiusi, altri difficili (Cina) a causa della permanenza del Covid . Noi viviamo di export, ma penso anche al turismo in entrata. A me sembra un incubo.
Sì, la domanda estera si è indebolita e forse strutturalmente. La risposta però c’è. Si tratta di sviluppare la seconda gamba della domanda, ossia la domanda interna. Sbloccare le opere pubbliche ha senso – anche se non dovrebbe essere così lunga la lista di quelle ferme – così come avranno senso le manovre per incentivare spesa e investimenti interni. Qui non basta una politica macroeconomica. I tassi di interesse sono già minimi. Serve una vera politica industriale. Guardiamoci attorno e scegliamo tre o quattro ambiti nei quali far convergere investimenti nella scuola, nella formazione, sulle imprese, nella domanda pubblica e poi facciamoli correre. Esempi: robotica, intelligenza artificiale, internet delle cose, biotecnologie e mobilità sostenibile. Sono ambiti che promettono crescita della domanda e producono buoni redditi. Certo che per svilupparli servono anche le infrastrutture e allora acceleriamo, per esempio, il piano sul 5G. Solo chi si ferma è perduto.
PS: il 5G è un asset strategico non pericoloso per la salute, come spiegato bene qui.
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