Ho aperto il garage della mia vecchia casa, ho gonfiato le ruote della bici, ferma dall’ultimo sole, e l’ho portata nel mio nuovo garage. Nove chilometri e duecento ventinove metri più a sud.
Pedalare, in genere, mi mette di buonumore, ma questa volta è più difficile. Non è stata una Pasqua semplice. Non lo è stata per nessuno, intendiamoci, ma ognuno di noi ha un piccolo dolore che è solo suo. E ha la precedenza su ogni altro dolore del pianeta.
Pedalare nel silenzio, lungo quei 9229 metri, ascoltando il rumore della catena della bici, avrebbe potuto essere perfino romantico. Avrebbe potuto.
Abbiamo da percorrere ancora 20 giorni e poi consoceremo la nostra nuova normalità. Capiremo cos’è rimasto identico allo scorso febbraio, cosa invece è cambiato. Cosa avremo perso e cosa, forse, troveremo.
Ognuno sarà il piccolo Cristoforo Colombo di se stesso e sbarcherà in un mondo nuovo che forse chiamerà ancora India, senza sapere che invece ha scoperto l’America.
Marina se lo chiede e me lo chiede da qualche giorno: “Sapremo stare di nuovo tutti insieme, come prima?“. Già. Ci hanno insegnato, fin da quando abbiamo iniziato ad apprezzare la presenza degli altri, che la società è la nostra capacità di essere sociali. Che siamo tutti “animali sociali”, che diamo il meglio di noi stessi nelle relazioni. Poi ce ne hanno consegnata addirittura una virtuale, di società, facendoci credere di essere amici di tutti, anche di quelli della cui esistenza non siamo certi.
Un giorno, all’improvviso, per colpa di un pipistrello, però, hanno iniziato a dirci, che dovevamo stare a casa, meglio se da soli, ottimo se fermi. Abbiamo iniziato ad applicare rigidamente il concetto nuovo e fino a poche settimana negletto, del “distanziamento sociale”. O saremmo morti. O avremmo causato la morte di qualcuno.
Ora siamo sospesi. Immobili, pietrificati dalla paura più o meno grande, di non sapere se, come, quando tutto ciò davvero finirà.
Sapremo tornare alla vita di febbraio? A quella voglia di fare o non fare le cose, di uscire o meno con le persone alle quali volevamo e, con tutta probabilità, vogliamo ancora bene? Avremo la stessa identica voglia di vivere?
Forse sì. Forse.
Stiamo sperimentando che in poche ore si possono distruggere tutte le certezze meticolosamente accumulate da qualche parte dentro di noi. Tra 20 giorni inizieremo a scoprire di quanto tempo e quali energie avremo bisogno per ricostruirle.
Il rumore della catena della bici non è romantico, ma mi ha fatto bene ascoltarlo di nuovo.
Tu lo scrivi, bene, io lo penso e spero che lo si possa condividere in molti.
Fa bene il fruscio del giro catena, il cinguettio di ogni alba, il silenzio e l’attesa di ogni speranza.
A presto, Amico mio.