Noi e Caino

Non lo faccio mai. È una curiosità che fino a ieri ero riuscito a non assecondare. Eppure passo molto, troppo tempo sui social (sono gli effetti collaterali di un lavoro che lo prevede). Alcune cose del social stream le ho capite, altre le voglio scientemente ignorare. Sta di fatto che non ho mai visitato i profili di persone coinvolte in fatti di cronaca nera. Sarà perchè non ho mai amato la “nera” e che da giornalista ho avuto la fortuna di non dovermene mai occupare, ma ho sempre evitato di scendere fino a quel girone dell’inferno zuckenberghiano.

Ieri l’ho fatto. Sono andato sul profilo, personale e pubblico, di uno dei due fratelli romani che ha ucciso a calci e pugni un ragazzo di 21 anni di origini capoverdiane colpevole di aver tentato di placare una rissa nascente. Ho ceduto per due motivi. Primo: mio figlio ha 21 anni e ha l’indole del mediatore. Due: amo Capo Verde, per motivi socio culturali, non turistici.

Non avrei dovuto farlo. Sotto l’ultimo post pubblicato, mentre scorrevo la timeline, cresceva a dismisura e costantemente il numero dei commenti della folla inferocita. Nel mare che si ingrossava fino a far paura, mi hanno colpito duramente i commenti di donne (giovani e meno giovani) che auguravano ai fratelli, morte dolorosa “ar gabbio“, ma solo dopo stupro violento (“ve lo devono sfondare” era l’augurio più tenero). Sono andato a ritroso e dove possibile ho visitato i profili, anch’essi pubblici, delle donne in preda ai fumi dell’odio sociale. Profili normali, spesso ricolmi di fiori, citazioni poetiche, inni alla gioia. Gattini. Ci sono sempre dei gattini.

Mi sono concentrato sui commenti femminili, perchè quelli maschili erano nove volte su dieci, di livello proto umano.

Sempre ieri mattina, su Radio24, la mamma di un ragazzo vittima di un episodio simile, intervistata da Alessandro Milan, ha raccontato la sua battaglia non solo per rendere giustizia a suo figlio, ma per fare in modo che i contesti che originano episodi assurdi come questi, vengano rimossi. La prima vittima è suo figlio. Le altre vittime sono i carnefici di suo figlio. Ha scritto un libro, stretto relazioni con chi già combatte in tal senso, non rigurgita bile. Ha fatto (per come possibile) i conti con il dolore e prova a fare qualcosa perchè il suo e quello di altri genitori non sia inutile (cercate il podcast, vale la pena).

Nel 1993 il Partito Radicale fondò una ONG, chiamandola: “Nessuno tocchi Caino“. Si è sempre battuta per l’abolizione della pena di morte nel mondo. Per me che allora ero cattolicissimo e facevo il tifo per Abele, fu una folgorazione.

Noi che auguriamo la morte a sconosciuti, senza nemmeno (per fortuna) sentire il dolore di una perdita e quindi senza avere il diritto di urlare la propria rabbia anche scomposta, anche feroce, non siamo migliori di nessuno. Nessuno.

 

2 Comments on "Noi e Caino"

  1. È un punto di vista molto “estremo”, quello su cui poggia la chiusa della tua riflessione. Vale anche per chi non augura la morte o la legge del taglione, ma auspica “solo” una giustizia severa? Questioni filosofiche, oltreché sociologiche e antropologiche, si intrecciano qui. Dietro al principio del “chi siamo noi per giudicare” non resta in agguato l’idea che nessuno vada in fondo giudicato? O che giudicare sia solo un atto e un fatto tecnico, da affidare a un tecnico, il giudice, mentre il resto della società, appunto, atarassicamente si astiene? Questioni aperte. Apertissime.

    • Ciao Raffa, non ho risposte. Ovviamente. La giustizia segua il suo corso, accerti e punisca. E sia severa, perchè ciò che è successo appare quantomeno folle. “Chi siamo noi per giudicare”, forse nasce da quel “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, con il quale sono cresciuto. Di fronte a fatti come quelli di cui parliamo, lo stomaco mi si contorce, ma non credo di aver il diritto di invocare le fiamme dell’Inferno o il dolore perpetuo dietro le sbarre. Non ho alcuna patente di “giusto”. Quella patente potrebbe averla solo chi ha la carne lacerata da una tale perdita (ancora oggi la condanna a morte in più di un paese è eseguita dalla pare lesa), ma anche lì … Ci siamo dati delle regole. Spesso fallaci, ma ce le siamo date per evitare il caos della giungla. Mi attengo a quelle. La giungla, come soluzione, mi sembra la classica toppa che non serve per nulla a tappare il buco.

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