L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI VERA E LA SORPRENDENTE LEGGEREZZA DI PAOLO

UNA GIORNATA UGGIOSA

È stata una domenica uggiosa quella appena trascorsa, nella quale ho dovuto immergermi nella lettura di una serie di passi scelti di Tucidide. Non proprio una passeggiata. Nel pomeriggio mi sono concesso un lungo momento di pausa dal V secolo a.C. , per dedicarmi all’ascolto di due podcast: Amare parole di Vera Gheno (prodotto da ilPost) e A cosa servono i russi di Paolo Nori (prodotto da Chora Media).

TERAPIA VERA

Vera Gheno è un socio linguista molto in voga (e molto brava). Il suo podcast è uno strumento assai utile per chi, come me, fa una fatica mostruosa a districarsi tra asterischi, schaw, maschili sovra estesi, identità non binarie e linguaggio di genere. Faccio parte di quella generazione (sono del 1966) che ha creduto a lungo di non essere affetta né da machismo, né da patriarcato residuale. Però visto che qualche dubbio mi è venuto, sto cercando di lavoraci su e trangugiando più di un rospo, uso Amare parole come terapia.

La puntata che ho ascoltato l’altro ieri, la n.98, si intitola: Attorno al verso di una vecchia canzone di Lucio Corsi e la sinossi recita così: “Rašid Nikolić, Attivista e Marionettista Rom, scrive una lettera aperta a Lucio Corsi per segnalargli la problematicità di un verso della sua canzone Altalena Boy, che risale al 2015, in cui si parla di “zingari” che rubano i bambini.” Ve la consiglio. E mi piacerebbe anche sapere cosa ne pensate.

NON SO NULLA, MA C’È UN PERCHÈ

Poi ho ascoltato tre delle sette puntate di A cosa servono i russi. Non conoscevo Paolo Nori. Mi ha intrigato il titolo del podcast. Per quanto possa sembrare assurdo io “dei russi” (nel senso di letteratura russa) non so nulla, non ho mai nulla. E c’è persino un motivo.

Nel 2000 ero a Mosca. Mi trovavo a casa di un sopravvissuto ai gulag, per una intervista. Eravamo in troupe e in quell’occasione facevo da assistente all’operatore. Giravamo un documentario. L’intervista procedeva in russo, ovviamente. Una cantilena soporifera, una sorta di ninna nanna composta da parole incomprensibili tra intervistato e intervistatore, che mi inducevano inesorabilmente a chiudere gli occhi. Accanto a me c’era una libreria tipo IKEA. Stipata di volumi. Gettando l’occhio alla ricerca di una qualunque forma di distrazione, ho scoperto una copia di “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij. Era in italiano, edito da Einaudi. Mi pare. L’ho preso ed ho iniziato a leggerlo, confidando nella possibilità di uscire dalla bolla di noia che mi stava divorando. Avrei finalmente scoperto il fascino un super classico della letteratura russa e per di più nella mia lingua, a Mosca. What’s else?

Dopo un quarto d’ora l’ho chiuso. Ero tramortito. L’ho trovato Illeggibile. Ho preferito tornare ad ascoltare l’inascoltabile lunghissima mono-tona intervista del sopravvissuto, giurando a me stesso:”mai più un russo“. Invece Paolo Nori mi ha sfidato, ho raccolto la sfida e mai scelta fu più felice.

IL PUNTO

E qui arriviamo all’insostenibile pesantezza di Vera e alla sorprendente leggerezza di Paolo.

Quando ascolto Amare parole ho la sensazione di essere l’imputato in un processo dell’Inquisizione. Il tono di Vera Gheno è assertivo, da Tavole della Legge e il mio essere un uomo bianco, europeo, occidentale e cisgender (come si usa dire), sembra diventare un capo di imputazione.

Il bagaglio culturale di Vera Gheno, che è corposo, credibile e per me nuovo, invece di facilitarmi a nuove conoscenze, diventa un enorme masso poggiato sui binari del treno. E il treno sono io.

Lei spiega. Io, macinandomi nei sensi di colpa, prendo appunti. Avete presente quella professoressa del liceo che era sì bravissima, ma che quando entrava in classe ti faceva sperare che evacuassero la scuola per un falso allarme bomba? Quella roba lì.

Paolo Nori, invece, non spiega. Racconta. E soprattutto il suo bagaglio culturale, anch’esso corposo, credibile e per me nuovo, non mi è né indigesto, né mi pare esposto sul balcone come gerani fioriti. Ha più domande che risposte, più dubbi che certezze. Come me, ma senza quel vasto bagaglio di saperi.

NONNA CARMELA

Paolo Nori, con il suo inconfondibile accento parmense, la parlata lenta e cadenzata, ti porta, spesso con sua nonna Carmela, in mezzo alle parole di quei poeti e scrittori russi i cui nomi non so nemmeno pronunciare. Lo fa con un garbo che cattura l’ascolto, si muove tra storia e aneddotica, tra la campagna di Parma e la steppa degli zar. Tra Piazza Grande e la Nevskij Prospèkt. Mi mancano ancora tre puntate, per cui non ho ancora scoperto A cosa servono i russi, però un risultato lo ha già ottenuto: mi ha aiutato a stemperare quel senso di fastidio che ho dal 24 febbraio del 2022 verso tutto ciò che era o è stato russo. Magari tra un po’ mi compro anche “Delitto e castigo”. E lo leggo.

CHIEDO CLEMENZA

Scritto tutto ciò, continuerò ad ascoltare Amare parole, perché so di averne bisogno. Vera Gheno mi costringe a mettere in discussione le certezze lessicali, quindi culturali. Gliene sono e sarò sempre grato. Però, ziofà Vera, se puoi: un briciolo di clemenza in più. Solo un briciolo. Aiuterebbe.

6 Comments on "L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DI VERA E LA SORPRENDENTE LEGGEREZZA DI PAOLO"

  1. Caro Sante, ottima idea leggere Dostoevskij e soprattutto cominciare da Delitto e castigo… sull’abbrivio prosegui deciso con i Fratelli Karamazov e poi continua con Tolstoj. Sono state tra le letture più importanti della mia vita, per quello che può contare, abbracci

  2. Indubbiamente il poadcast Amare parole è pesante. Ma il problema non è nemmeno solo quello. Il problema è che sotto la patina assertiva e lo stile da maestrina, la maggior parte dei contenuti solo delle grandi banalità belle e infiocchettate. In altre parole, fuffa. Non è proprio il caso di mettere in discussione le proprie conoscenze in questo caso. Non per presunzione, ma perchè la lente di interpretazione di Amare parole è superficiale (sotto la patina, appunto, di chissà cosa).

    • Sante Altizio | 26 Marzo 2025 at 10:42 | Rispondi

      Prima di tutto grazie per avere letto e commentato. Non so bene cosa risponderle. Non me la sento di giudicare il lavoro di Vera Gheno perchè le mie competenze sul tema sono pari a zero. Confesso che a me risulta utile (anche se faticosissimo) per provare a mettere in discussione alcune certezze. Viceversa se uno è navigato sul tema è possibile che colga aspetti di ovvietà che a me sfuggono. Un saluto cordiale

      • Grazie a lei!
        Sí capisco. In effetti io sono un linguista e dunque sono dentro a queste questioni. Posso consigliare un libro molto chiaro e ben fatto sul dibattito: “Le guerre per la lingua”, di Edoardo Lombardi Vallauri, edito da Einaudi. Saluti.

        • Sante Altizio | 26 Marzo 2025 at 17:34 | Rispondi

          Il suo punto di vista è privilegiato e un po’ la invidio. La ringrazio per il consiglio di lettura che raccolgo molto volentieri. Ora ascolterò Vera Gheno con meno ansia 🙂 Un saluto

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