LA DINAMICA DELLA GUERRA (e le mie paure)

La settimana più pazza del mondo è finita. Non sarà l’ultima, temo.

Non ho alcuna cultura economica, quindi ho assistito al melodramma inscenato da Donald con la faccia basita. Quando posso, ascolto Sebastiano Barisoni su Radio24 e qualche volta Don Chisciotte podcast di Oscar Giannino. È vero che ho collaborato per un anno con Mondo Economico, la testata on line di un think thank torinese, ma è non esattamente come un master alla London School of Economics.

LA LEZIONE CHE PORTO A CASA

Però (adoro i “però”) c’è una lezione che forse porto a casa da quanto sta succedendo. Riassumo: il Presidente della nazione più importante del globo ha deciso, senza apparente motivo, di scatenare una guerra commerciale contro tutte le altre nazioni. Isola dei Pinguini compresi, ma Russia esclusa. Una guerra durissima a colpi di dazi che ha fatto crollare tutti i mercati azionari del mondo (tranne la Borsa di Mosca, che però è un mercato marginale) e messo in crisi aziende, fondi pensioni e l’intera catena di distribuzione di ciò che abitualmente acquistiamo. Il suo obiettivo dichiarato è distruggere l’attuale sistema economico globale di sostanziale libero scambio, che secondo Trump danneggia gli Stati Uniti e costruirne un’altro che invece arricchisca gli USA (e il suo portafoglio da tycoon) come mai prima nella storia. Siamo a un passo dal TSO, ma tant’è.

Tutte le nazioni colpite a freddo dalla guerra dei dazi statunitense, dopo un primo quarto d’ora di stordimento, hanno reagito a muso duro. Chi con i contro dazi, chi facendo presente che una bella fetta dei 36.200 miliardi di dollari di debito pubblico americano sono in mano straniera. Infatti gli interessi dei loro BPT sono schizzati al 5% in un paio di giorni, facendo venire un mezzo infarto al Segretario del Tesoro degli Stati Uniti. L’asta dei titoli di stato trentennali è andata addirittura deserta.

Quindi il povero Trump, dopo aver detto a sera che i capi di governo di mezzo mondo erano pronti a baciargli il culo pur di farsi abbassare o togliere i dazi, al mattino ha dovuto congelare tutto per 90 giorni prima che da Wall Street partisse qualcuno per fargli lo scalpo.

La guerra di Trump quindi rallenta, quasi si ferma, va in stallo, ma di danni ne ha comunque già fatti parecchi. Compreso un insider trading del quale prima o poi qualcuno gli chiederà conto. La credibilità di tutta l’Amministrazione, tanto per comunicare, è andata al macero. Nessuno si fiderà più di Donald Trump. La guerra, comunque, continua. La pax economica è rotta definitivamente.

LA DINAMICA DELLA GUERRA

C’è un elemento che mi ha colpito in questa storia dal finale ancora tutto da scrivere: la dinamica della guerra. Sia essa economica o guerreggiata, si assomiglia. Simile la dinamica con la quale inizia, simile la reazione di chi quella guerra se la ritrova in casa.

In Ucraina tre anni fa è successo qualcosa di simile.

Uno (Vladimiro Putin) ha deciso di invadere a freddo, militarmente, un Paese indipendente confinante (l’Ucraina) e far saltare l’intero quadro geopolitico mondiale (ristabilire la vecchia Cortina di Ferro). I progetti del vicino invaso vanno in discarica. Non solo: è costretto a mollare tutto ciò che stava facendo e rispondere alla guerra per difendersi. Usa le armi che ha a disposizione. Da solo sa non ce la farà mai e sa anche che deve colpire forte almeno quanto il suo avversario per costringerlo a fermarsi (proprio come i dazi e i contro dazi). Rischia, ma non ha alternative. Piovono bombe. Tante bombe. Muoiono a decine di migliaia. Distruzione. Tutto ciò perché uno ha deciso che sei diventato il suo nemico. Devi prenderne atto. Quindi cerchi alleati, ti organizzi militarmente, elabori strategie, provi a rispondere colpo su colpo. Il tuo obiettivo è resistere e sopravvivere. Poi si vedrà.

QUANDO DIVENTI IL NEMICO

La guerra, sia essa economica o militare, quando arriva, ti definisce. Devi rispondere. Non hai scelto di entrare in guerra, ma la scelta è binaria.

Sono quasi certo che non vedremo marce pacifiste contro la guerra economica di Trump e credo sia un errore. Se è vero che non scorre sangue, non c’è odore di polvere da sparo, che il dolore non è paragonabile, le crisi economiche globali mietono comunque molte, moltissime vittime. Vi invito a leggere “Il grande crollo“, uscito per la prima volta nel 1954 e scritto da un economista canadese John Kenneth Galbraith. La Grande Depressione (consiglio la lettura di questo) fu tutto meno che indolore. Il pacifismo è tarato solo sulla guerra tradizionale.

METTE I BRIVIDI

Il rischio che stiamo correndo (lo scopriremo tra un paio di mesi) è di vivere una Grande Depressione. A me mette i brividi. Non mi pioverà un missile Iskander nel cortile (ed è cosa ottima), ma il resto è a rischio: lavoro, risparmi, pensione, sanità pubblica. Quindi le reti sociali. Scivolare nella povertà non è come vedere arrivare un soldato armato fino ai denti nel tuo salotto, ma è una prospettiva che occlude le arterie. A me è già successo di sfiorare la povertà. Paralizza. Non lo auguro a nessuno.

La pace, anche economica, non è acquisita per sempre. Occorre fare cose per preservarla. Tipo entrare in guerra contro chi ha deciso che le tue certezze (economiche, culturali, politiche) con contano più nulla. Per quanto suoni orribile è quello che siamo chiamati a fare.

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