IL DITINO PUNTATO

Non avrei voluto. Forse non dovrei, ma la colpa è di Elena Lowenthal e del suo articolo (“Se i genitori di Filippo Turetta banalizzano il femminicidio”) pubblicato stamattina su La Stampa. L’ho trovato desolante.

Sono padre dal 1994 e per quella piccola esperienza maturata oso dire che se volete provare a entrare nei panni di Turetta padre, vi serve un figlio. Maschio. Fosse femmina sarebbe uguale, ma il mostro è un sostantivo declinato al maschile. La mostra è un’altra cosa, non mette i brividi. Al massimo una mostra è brutta. Il mostro no, è demoniaco.

Amo il mio secondogenito, classe 1999, perchè letteralmente è carne della mia carne. I figli, in fondo, sono soprattuto questo. Un pezzettino di noi che, se tutto va come deve andare, ci sopravviverà con decoro. Se.

Però so anche che sarò sempre al fianco di mio figlio anche qualora dovesse piovere dal cielo la sciagura dell’orrore. E dentro quell’orrore, con orrore, gli starei accanto. Piangendo, disperandomi, sapendo che da certi fondali non si risale.

Non me lo auguro, non glielo auguro, ma è grazie a Nicola Lagioia e al suo “La città dei vivi” che ho letto qualche tempo fa, se di fronte alla pubblicazione illegittima (illegale, immorale, bieca) del dialogo rubato nella sala colloqui di un carcere tra un mostro e il padre del mostro e della canea dei commenti che ne sono seguiti (social e non), mi è salita la nausea e non l’indignazione cara a tanti.

Ho letto le parole di quel padre, ma non le commenterò mai per un’unica e semplice ragione: se io fossi al suo posto non ho idea di cosa potrei dire nel chiuso della stanza di una prigione. La nuova casa del figlio che mai avrei immaginato di vedere lì.

Dalla sdraio della spiaggia di un fine luglio caldissimo, è facile scegliere la curva sulla quale sedersi comodamente e fischiare. Troppo facile.

Se invece ti trovi di fronte alla carne della tua carne, che ami più di te stesso, trasformatasi di colpo in un mostro, la logica quotidiana dei gesti e delle parole perde completamente senso. Devi attingere a sentimenti che non conosci e cammini su strade che non pensavi nemmeno esistessero. Devi cercare vocaboli che non hai mai usato e trovare formule per esprimerli.

Quindi, se posso: smettetala di puntare quel dito. Fatelo per voi stessi e del futuro che non avete idea cosa possa riservare. 

9 Comments on "IL DITINO PUNTATO"

  1. Sottoscrivo ogni parola
    Tacere è/era l’unica cosa sana da fare.

  2. Sante, sempre straordinario! Grazie a te e a chi da state fuori dal coro della curva che fischia e urla ‘buuuu’

  3. Grazie Sante Altizio, per queste parole di commento e di riflessione. Che da padre … condivido in pieno …

  4. Carla Lassandro | 29 Luglio 2024 at 16:32 | Rispondi

    Io sono madre… Non so se questo faccia qualche differenza
    Puntare il dito è sempre la cosa più facile più immediata e banalmente bieca si possa fare, ma qui c’è qualcosa di cui stiamo perdendo il significato
    Questo padre non sta solo dalla parte del figlio, ma sta banalizzando quello che il figlio ha fatto.
    E su questo non posso condividere
    Sostenere sempre e comunque sì ma cambiare la realtà no.
    Baci a tutti i papà

    • Quella conversazione era privata e tale doveva rimanere. Averla resa pubblica è una follia che lede i fondamenti del diritto. Non commenterò mai quello che ha detto quell’uomo perchè davvero io, nelle stesse drammatiche condizioni, non so proprio cosa direi.

  5. Ti leggo molte volte, non sempre….ma sei tra quelli che seguo maggiormente. Condivido il tuo pensiero, ma temo che siamo in netta minoranza. La superficialità porta sempre a facili indignazioni che non muovono nulla dentro e fuori di noi.

  6. Carla Lassandro | 30 Luglio 2024 at 18:37 | Rispondi

    La questione riservatezza è condivisibile, sul resto ho tanti dubbi

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