Ho lavorato nel mondo dell’informazione cattolica dal 1988 fino al 2014. Un’esperienza importante, che mi ha catapultato senza paracadute all’interno del mondo ecclesiale, mettendomi a confronto con una realtà tanto affascinante quanto composita.
Ho conosciuto sacerdoti, religiose e religiosi che mi hanno ammaliato con la loro capacità di essere costantemente empatici, uomini e donne di fede in grado di mettersi nei panni dell’altro con naturalezza e poi di camminargli accanto.
Però ho anche incrociato uomini e donne glaciali, algidi, distaccati, del tutto o quasi disinteressati alla complicata vita quotidiana del popolo di Dio. Un’ordinarietà grigia fatta di bollette da pagare, di famiglie che si incasinano, di incertezze economiche e di precarietà lavorativa.
In genere misuro il prossimo dal grado di empatia che tramette: se sono di fronte a qualcuno che sa ascoltare senza giudicare, riesco a mettermi in gioco. Diversamente, mi chiudo a riccio. Quando frequentavo conventi, monasteri, uffici diocesani, vescovadi, giusto o sbagliato che fosse, quello era il mio metro di valutazione.
Non sono mai riuscito ad apprezzare Papa Benedetto XVI fino in fondo. Prima di tutto perché non ho il bagaglio culturale adatto a comprendere il suo pensiero, oggettivamente alto, e poi perché un uomo che non sorride quasi mai, che si trova a disagio lontano da un contesto di insegnamento, non mi scalda in nessun modo il cuore.
Provo a fare un esempio: a Rio de Janeiro, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù del 2013, mi sono ritrovato all’interno della Sala Stampa allestita sotto un tendone, a piangere come un vitello con i vaticanisti di mezzo mondo. Seguivamo Papa Bergoglio in diretta tv che entrava sorridente nella favela più grande e malfamata del pianeta, la Rochina, e si fermava a bere un cafezinho chiacchierando con i favelados, manco fosse in una bocciofila a giocare a scopa con gli ex alpini.
Con Benedetto XVI quella scena e quell’emozione non l’avrei mai provata.
Uomini diversi, tra loro imparagonabili, ma mentre del secondo ricorderò sempre la capacità di empatia, del primo ricorderò solo (si fa per dire, ovviamente) il clamoroso e coraggioso gesto delle dimissioni.
L’altro ieri la dottoressa leader ultra cattolica, militante No Vax, Silvana De Mari, ha scritto su un suo profilo social: “È morto papa Benedetto XVI, il seggio adesso è vacante“. Sconfortante. Per carità è solo un esempio, ma rende l’idea dell’aria che si respira tra i cattolici che oggi si sentono divisi tra due papi.
Papa Ratzinger si è portato sulle spalle il peso di questo pezzo di popolo di Dio che assomiglia più alla Polizia Morale di Teheran, che ai discepoli del Nazareno. A mio modesto parere, è stato un errore. Forse avrebbe potuto scrollarseli di dosso prima che facessero i danni che hanno fatto alla Chiesa. Forse.
Da credente intermittente e non più praticante non ho autorevolezza alcuna, ma devo dare atto al Pastore Tedesco (che titolo fulminante fu quello de Il Manifesto), che ha saputo fare un gesto davvero rivoluzionario, ha cambiato la storia della Chiesa e mutato la percezione che tutti abbiamo di essa.
Benedetto XVI, per primo, ci ha detto a chiare lettere che anche il papa è un uomo e può essere fragile, affaticato, sopraffatto dal peso delle cose e quindi se necessario, passare la mano. Questo, sui libri di storia, rimarrà a lungo.
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Avrei scritto le stesse cose.. anche se meno bene!
Grazie Irene! 🙂
Una gran bella riflessione. Grazie, Sante, condivido davvero.
Grazie Fra!
Un punto di vista informato anche dall’interno. Pensieri decisamente condivisibili. Grazie
Grazie a te Marco!