Il 25 settembre, alle prossime elezioni politiche, voterò i gemelli diversi Calenda-Renzi. Senza fanfare, con entusiasmo limitato, ma con buona convinzione. Ho sempre votato Partito Democratico (con poche digressioni, concentrate per lo più in età giovanile), ma questa volta mi è impossibile per almeno tre ragioni.
1. La fobia antirenziana che ancora attanaglia la nomenclatura del PD (e anche una bella fetta di elettorato) è, secondo me, patologica.
2) Il riformismo teorico non mi interessa più. Se il PD preferisce fare squadra con Fratoianni Nicola anziché Calenda Carlo significa davvero che dalla legislatura che sta finendo anticipatamente non ha imparato nulla.
3) Un partito che non si ritiene abbastanza di sinistra da essere motore di un progetto politico credibile e creare consenso attorno a quello, per me, ha lo stesso appeal dell’hamburger vegano.
Insomma, se in un partito di sinistra e riformista non ci crede Enrico Letta, che del PD è Segretario, perché dovrei crederci io?
Di Carlo Calenda apprezzo l’assenza, nel suo programma, di promesse elettorali. Errore potenzialmente esiziale per l’elettorato italiano. Sia esso un bonus, una pensione, un milione di posti di lavoro o l’abolizione dei jet privati, qualcosa di irrealizzabile all’elettore medio lo devi promettere. Non farlo è molto coraggioso.
Poi c’è il metodo con cui fa politica sul territorio. L’ho seguito durante la lunga campagna elettorale per le comunali di Roma. Ha battuto la città quartiere per quartiere, definendo programmi zona per zona e confrontandosi con le persone. Partendo da zero, Azione è diventato il primo partito della Capitale raccogliendo il 20%.
Infine c’è la volontà di far accadere le cose. La politica in fondo è questo: non è discutere senza un orizzonte, ma discutere, poi decidere e quindi realizzare le cose decise.
Industria 4.0, provvedimento pensato da Calenda quando era ministro, ne è l’esempio. È tra le cose migliori capitate alla manifattura italiana negli ultimi decenni.
Trovo anche condivisibile la sua ossessione per la competenza. Diciamolo: su questo tema, noi elettori siamo strabici. Quando cerchiamo una baby sitter per i nostri figli pretendiamo le referenze della Maria Montessori in persona, ma non battiamo ciglio se a fare il Primo Ministro di una delle potenze del G8, è un avvocato qualunque scelto da un leghista ubriaco e un ragazzino disoccupato senza arte né parte.
Va bene che la politica è l’arte del possibile però un limite prima o poi dovremo stabilirlo.
L’alleanza con l’amico-nemico Matteo Renzi non mi disturba, anzi. A Renzi Matteo (uno dei pochi sulla piazza ad avere vero fiuto politico e al quale dobbiamo la prima elezione di Mattarella e l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi nel febbraio del 2021) critico di aver legato la sua carriera politica a un Referendum (sacrosanto) e di fare gite in Arabia Saudita tanto legali quando del tutto fuori luogo.
Voterò i Gemelli Diversi perché, come detto qualche riga fa, del riformismo parlato ne ho le scatole piene, così come del massimalismo ottuso, grazie al quale l’Inferno si lastrica di buone intenzioni con regolarità deprimente.
Prendete la vicenda del DDL Zan, una legge importante per migliaia di cittadini sacrificata dall’insipienza politica. Un fallimento da “manuale del giovane massimalista”: “O tutto o niente!”. Quindi, niente. Geniale vero?
Infine: amo Mario Draghi come un interista Javier Zanetti. Considero chi lo ha sfiduciato sei mesi prima della scadenza naturale della legislatura (uscendo dall’aula, perchè non ha avuto nemmeno il fegato di votare il proprio dissenso guardandolo in faccia), un nemico del popolo. Se non fosse una roba brutta anche solo da pensare, lo prenderei a calci nelle terga fino a trasformagli le chiappe in orecchie.
Quindi, per quello che conta, la fiera difesa del draghismo da parte del duo Calenda-Renzi sposta definitivamente la mia scelta elettorale.
Sarà il migliore meno peggio votato negli ultimi tempi. Non è molto, ma qualcosa è.
Il voto al Terzo Polo è un estremo atto di resistenza contro il non voto e contro la follia del voto utile. La fine delle ideologie rende le scelte più semplici ed in questo Paese è importante che la ragione prevalga sulle appartenenze in un sistema rappresentativo che vivendo la più profonda crisi identitaria dall’inzio dell’era contemporanea rischia di seppellire la coscienza degli individui. Portiamo in salvo l’Italia.