L’ultima crisi finanziaria è iniziata nel 2008, più o meno quando è esplosa la bolla immobiliare statunitense. Avevo 42 anni e lavoravo con un contratto a tempo indeterminato dal 1990. Guadagnavo tra i 1.700 e i 2.000 euro al mese, straordinari forfettizzati, trasferte, tredicesima. Viaggiavo attorno ai 25.000 euro netti all’anno ed ero convinto di guadagnare poco.
Poi il mio mondo (come quello di milioni di altri) è crollato con relativa lentezza sotto la spinta della recessione globale: ho prima subìto il taglio dello stipendio e dei benefit, quindi il licenziamento nel 2014 e infine ho aperto una partita IVA forfettaria nel 2016.
Oggi, nel 2022, quattordici anni dopo, per guadagnare come nel 2008 dovrei fatturare circa 35.000 euro lordi. Inutile dire che quella cifra non la sfioro nemmeno. A pesare c’è sicuramente una mia scarsa attitudine imprenditoriale, poi la difficoltà a vendere al giusto prezzo le mie competenze, infine le oggettive difficoltà del mercato di riferimento.
Rimane un dato incontrovertibile: ho quasi 56 anni e non andrò in pensione prima del 2031 (forse). Una decina d’ anni ancora tutti da inventare.
Pur avendo sempre seguito la politica con grande interesse, da quando ho perso le mie consuete certezze economiche e mi sono trasformato da dipendente a tempo indeterminato a “piccola partita IVA”, l’attenzione è cresciuta. Le scelte fiscali del Governo mi toccano più da vicino, la burocrazia si fa sentire con maggiore insistenza, lo Stato diventa il “socio” vorace che ti segue come un’ombra e il commercialista l’unica arma di mediazione tra te e le cartelle esattoriali.
Come conseguenza di questa precarietà ormai cronicizzata, mi chiedo spesso con una certa dose di bile incipiente: “Come vivrei oggi se in Italia ci fosse stabilità politica, se i decisori fossero autorevoli e le decisioni oculate?” La risposta è tanto banale quanto ferale: “Se al posto di questo manipolo di scappati di casa occasionalmente e malamente prestati alla politica parlamentare, ci fossero donne e uomini in grado di lavorare con cognizione di causa e tempo a disposizione, oggi vivrei meglio.”
Non ambisco ad avere Sanna Marin come primo ministro di un governo illuminato, mi accontenterei di avere un governo, sempre lo stesso, per una, magari due legislature. Perché solo il tempo permette di trasformare un’idea in un progetto utile oggi e domani.
Quella in corso è la legislatura italiana numero XVIII. La prima è dell’aprile 1948. In 76 anni si sono succeduti 67 governi e 30 primi ministri. La durata media di un nostro esecutivo è avvilente. I tedeschi (la Germania è la nazione europea uscita peggio dalla Seconda Guerra Mondiale, militarmente occupata e divisa in due) hanno avuto dal 1949 ad oggi solo 20 governi e 9 cancellieri. NOVE. La Germania infatti è dove è, noi siamo dove siamo. La stabilità politica paga, è un valore.
Ecco perché a un Giuseppe Conte qualunque (le cronache di questi giorni sono eloquenti) preferisco un Mario Draghi. Il primo di sicuro non mi consentirà nè di migliorare il presente, tantomeno di immaginare un futuro decoroso per i miei figli, perchè non ne è capace. Il secondo, almeno, ci prova. Ha gli strumenti per farlo.
La politica di Governo è diventata come la Corrida di Corrado: una sfida circense tra dilettanti convinti di essere professionisti, calciatori di Promozione che credono di essere Maradona. E mentre questa folta categoria di turisti del potere giocano al piccolo statista, la mia capacita d’acquisto diminuisce, la fatica per restare a galla cresce, le incertezze si sommano, l’età avanza sapendo che la pensione, se e quando arriverà, sarà misera.
Un Mario Draghi al Governo dovrebbe rappresenterà la normalità: un signore con un CV piuttosto importante, che ha un’idea di Paese coerente con la realtà e cerca soluzioni che disegnino un futuro di medio e lungo periodo per le generazioni che verranno.
Invece questa teorica ovvietà per noi è l’eccezione a una regola ormai consolidata: l’Italia è una Repubblica fondata sulla famiglia o sulla propria lobby, i cui privilegi (dai tassisti ai forestali calabresi, dai balneari ai notai) sono garantiti dal frenetico immobilismo della classe politica. Il tutto ammantato da una retorica ideologica (qui un esempio classico) che tutto giustifica e farebbe rivoltare nella tomba i nostri Padri Costituenti.
Per chi è fuori dal giro grosso, non ha una famiglia che conti o appartenga a una lobby muscolare, rimane la sempre efficace “arte di arrangiarsi” camminando tra le pieghe dei codici, dei regolamenti e delle norme. Le zone grigie sono l’Eldorado per milioni di compatrioti.
E gli altri, e io? Si fottano, fottiti. Tanto la povertà è stata abolita già da 4 anni.
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