Ci sono cose che capisci anche a 15 anni, ovvero nel momento di minima capacità cognitiva per un pre-adolescente impegnato h24 a gestire i suoi ormoni impazziti.
Che Luca, tra di noi, amici di una vita e per una vita, fosse quello destinato a fare più strada, era evidente come il fascino misterioso della biondina del primo banco.
Il tempo ci ha dato ragione. Luca è diventato medico e appena laureato si è dato alla ricerca scientifica. Ha fatto un po’ di gavetta in Finlandia, dove il Ricercatore non è colui che rovista, suo malgrado, nei cassonetti dell’immondizia, ma qualcuno grazie al quale la medicina può fare piccoli passi in avanti, curare meglio e salvare vite.
In queste settimane convulse, la nostra chat di gruppo è fitta di domande a sfondo Covid. Spesso le rivolgiamo a Luca e lui, specificando che “non sono un virologo”, con santa pazienza risponde.
È vero, Luca non è un virologo, ma se ora è professore ordinario alla Cattolica di Roma dopo essere stato una colonna di uno dei Centri di Ricerca oncologica più importanti d’Europa, un motivo ci sarà.
Gli gli ho chiesto, via mail, un parere su questa pandemia. Lui, gentilmente e per iscritto, mi ha risposto. Vi invito alla lettura. Fidatevi: saranno cinque minuti spesi bene.
– Come medico che ha fatto della ricerca scientifica la propria ragione di vita, che reazione hai di fronte a questa pandemia? Prevale l’incredulità oppure dentro di te c’è una vocina che dice “Prima o poi doveva capitare..”?
I virus sono un’entità biologica che ha dell’incredibile. Non sono cellule viventi, ma dei laboratori di biologia molecolare ambulanti. Entrano nelle nostre cellule e le sfruttano per replicarsi, e per rinnovarsi, portando via con sè i geni utili che trovano (questo vale anche quando fanno il salto di specie come forse è successo in questo caso: da pipistrello a uomo). Possiamo dire che i virus sono una frontiera dell’evoluzione naturale e possono trovarci del tutto impreparati a una difesa efficace. In questo senso, secondo me, il Covid-19 non ha nulla di incredibile. È vero all’inizio è stato sottovalutato, anche perchè siamo abituati a epidemie virali con mortalità relativamente bassa (tipo raffreddore e influenza), ma direi anche che, in linea di massima, negli ultimi decenni abbiamo sottovalutato molto i rischi dovuti alle malattie infettive. Sembravano debellate, invece sono sempre in agguato.
Nel caso delle malattie batteriche la colpa è quasi esclusivamente da attribuirsi all’uso, troppo spesso ingiustificato, degli antibiotici che ha creato ceppi di batteri multi-resistenti. Ma per le malattie virali, non è ancora chiaro se l’uomo abbia delle colpe specifiche, o se, più semplicemente, dobbiamo fare i conti con i super-poteri evolutivi dei virus e, quindi, da oggi in poi, essere molto più attenti.
– A inizio marzo, chiacchierando in chat, hai fatto un’affermazione che mi ha gelato il sangue: “I contagiati sono già milioni, non decine di migliaia”. Su cosa hai basato la tua valutazione, che, tra l’altro. Si sta rivelando corretta?
I virus inducono sempre una buona risposta immunitaria (salvo, ahimè, nei soggetti immunodepressi), e spesso è proprio quella risposta immunitaria che, mentre debella l’infezione, scatena l’infiammazione e ci fa stare male.
Questo è ciò che sta capitando ai pazienti Covid-19, che vanno in terapia intensiva. I danni prodotti dalla risposta immunitaria e dall’infiammazione contro le cellule infettate dal virus, compromettono le funzioni vitali, soprattutto quella polmonare.
Ora, come in tutte le infezioni virali, ci sono soggetti in cui il sistema immunitario risponde in modo più efficace, bloccando il virus senza produrre danni seri. Altri invece che se la vedono davvero brutta.
Per come siamo stati capaci di reagire noi in Italia (in Germania, per esempio, hanno fatto meglio), abbiamo saputo riconoscere solo i casi sintomatici, cioè quelli in cui i pazienti stavano male e che quindi hanno fatto il tampone (e nemmeno tutti, purtroppo … pensa a cos’è successo nelle Case di Riposo). Resta una grandissima maggioranza di casi senza sintomi o con sintomi lievi, che semplicemente non sono stati indagati o conteggiati nelle statistiche.
In fondo eravamo ancora in periodo di influenza. Se ti viene qualche linea di febbre e un po’ di raffreddore mica vai in ospedale. Qualcuno di questi “casi fantasma” è stato a casa, altri invece hanno continuato a circolare e a lavorare. E a contagiare.
Qualcuno diceva: “Se non ci sono sintomi, vuol dire che è tutto a posto”. No, non è così. Purtroppo però per distinguere i veri negativi dai contagiati asintomatici non si poteva fare tamponi a tutta la popolazione (e poi ripeterli, almeno una volta alla settimana, altrimenti a che serve?).
Si sarebbe potuto (avendo le risorse necessarie) fare i tamponi a tutti coloro che erano venuti a contatto con malati sospetti, in modo da intervenire per isolarli subito se contagiati. Il caso paradigmatico è quello dei medici e degli infermieri, all’inizio costretti ad operare perlopiù senza le adeguate protezioni: i trovati positivi avrebbero quindi dovuto essere lasciati a casa. Ma, con la cronica carenza di personale dei nostri ospedali, chi avrebbe continuato ad assistere i malati?
Conclusione: il virus è circolato comunque, finchè non è stato imposto il distanziamento sociale. Che è una misura becera e rozza, ma l’unica che può sopperire alla mancanza di risorse e di soluzioni più evolute.
Oggi i focolai infettivi li abbiamo dove il distanziamento non c’è stato: nelle RSA, nei nuclei familiari, tra coloro che hanno partecipato ad assembramenti non autorizzati.
-Immagino tu sia in contatto con colleghi che, in qualche modo, stanno cercando di capirci qualcosa. Come si sentono?
I miei colleghi “in prima linea”, quelli concentrati a salvare persone in ospedale, sono a pezzi. Stanchi, abbattuti, delusi. Si sentono traditi dal sistema politico e da quello sanitario.
Nell’emergenza i costi sono enormi, è vero, ci sono ostacoli che solo oggi si iniziano a superare (vedi la mancanza di mascherine e dispositivi di protezione). Non ha senso. Andando alla radice, dovremmo pensare a quanto hanno drammaticamente inciso i tagli sul bilancio sanitario, del Piemonte ad esempio, con la riduzione del personale e dei posti letto.
Persino la Lombardia, che con la sanità era messa bene, non ha retto il colpo esiziale che le è stato inferto, probabilmente perchè il sistema (focalizzato sulle patologie degenerative classiche del mondo occidentale, cioè quelle cardiovascolari e tumorali) non era preparato a gestire un tipo di crisi socio-sanitaria mai vista qui negli ultimi 100 anni.
Sappiamo bene che oggi si dovrebbero investire risorse ingentissime per attutire le conseguenze dei danni prodotti da questa pandemia e consentirci di galleggiare fino a quando finalmente avremo un vaccino (o eventualmente un farmaco efficace). Questi obiettivi richiedono tempo, oltre che denaro. E ci vorrebbe solidarietà negli sforzi scientifici a livello mondiale (per intenderci: non le belle trovate egoistiche alla Trump).
Speriamo che gli esami sierologici ci consentano di capire chi e come sviluppa immunità contro il virus. Alla fine, sarà proprio il sistema immunitario a salvarci da un’epidemia interminabile. Speriamo di poterlo stimolare con dei vaccini, con buona pace dei no-vax! Proprio oggi leggevo un post di un tipo che stigmatizzava scandalizzato l’idea che “ci obblighino tutti a vaccinarci contro il coronavirus”. E direi! Magari si potesse fare subito! Forse era meglio quando una bella fetta di bambini sviluppava la poliomielite? Anche quello è un virus.
-C’è un aspetto che forse questa pandemia porterà all’attenzione del nostro Paese: l’importanza della ricerca scientifica. Magari le galassie NoVax, a cui facevi riferimento, si estingueranno una volta per tutte. Condividi?
Non mi faccio illusioni. Ci sarà sempre qualche persona più sprovveduta che vuole avere la libertà di girare con le proprie mani la roulette del rischio. È uno stupido esorcismo: “se devo morire, preferisco scegliere di farlo a modo mio”. Un po’ come la questione dei fumatori e il cancro al polmone.
Il fatto è che senza vaccini si muore davvero e si muore molto di più che con i vaccini. Questa è la statistica reale, non l’inganno degli scienziati o, peggio, il complotto delle case farmaceutiche.
Sul ruolo della ricerca scientifica, anche lì sono poco ottimista. Oggi sotto i riflettori ci sono meritatamente i medici in prima linea. Gli scienziati sono quei rompiballe che dicono a Conte di chiudere tutto; soprattutto, pensa un po’, non sono neppure tutti d’accordo sulle soluzioni da trovare.
Come chiamare tre meccanici durante l’affondamento del Titanic e stupirsi se non sono d’accordo su come fare per evitare il disastro.
In realtà la scienza cresce solo da una continua ricerca di nuove risposte, dalla conquista di risultati che sono solo temporanei, sempre da migliorare. Il dibattito è il sale della scienza, quello che ci spinge a mettere in discussione le nostre certezze, e ad andare avanti.
Purtroppo la scienza o la ami o la odi. Tutto comincia, come sempre, sui banchi di scuola.
C’è chi è convinto che gli scienziati si divertano semplicemente ad usare la testa (che peraltro è la loro unica consolazione, visto che i soldi non glieli dà nessuno), ma che non conoscano i problemi della realtà. Sono gli stessi che credono solo a ciò che si può toccare e invocano poi a gran voce la scienza quando sono ammalati o intravedono un business (vedi i brevetti farmaceutici).
È il cosiddetto principio (marcio) della distinzione tra scienza “pura” e scienza “applicata”. Chi investe solo sulla seconda ha già firmato la sua condanna a morte, perchè per applicare le soluzioni, servono conoscenze e idee. Queste nascono solo se la creatività degli scienziati è lasciata libera. Ovviamente è un’investimento a perdere, i cui frutti si vedono a distanza. Potremo ancora permettercelo?
-Questa vicenda cosa ti ha insegnato?
Che dire? Ad oggi mi conferma che la conoscenza è la risorsa più grande che abbiamo. Ma la conoscenza serve a poco se il suo valore non è compreso da tutti. Peggio ancora se viene messa in discussione l’autorevolezza di chi studia e si spende instancabilmente per cercare di capire. Abbiamo di fronte un nemico misterioso, che gli scienziati bramano di conoscere (ma ci vogliono tempo, soldi e talento), che i medici cercano di combattere (spesso come soldati con scarpe di cartone e senza munizioni) e che qualcun’altro usa come espediente per recriminare, aizzare folle, indebolire l’avversario politico di turno.
Quando domani (spero presto) la buriana sarà passata e qualche scienziato chiederà più risorse per studiare le infezioni virali che oggi infestano l’Africa o l’America Latina, temo che ci sarà il solito genio che suggerirà di “concentrarsi sulle nostre priorità nazionali e pensare piuttosto a come tenere lontani quelli che ci portano le malattie da fuori”.
Per fortuna faccio ricerca sui tumori e quelli ci fanno ancora paura. Speriamo per poco.
Magnifico! Grazie. Eliana
Grazie a te per la lettura!!!
Bellissimo articolo. Grazie!