“Ciao Alex, volevo telefonare a Raffa, ho bisogno di qualche dritta per un lavoro che sto facendo, ma ho notato che da qualche mese è sparito dai social. Va tutto bene?”
“Ciao Sante, ma non sai nulla?”
(gelo) “No”
“Ha appena subito un trapianto di cuore. Non è stato facile, molti casini, ma ha retto. Ci vorrà ancora un po’ di tempo. È ricoverato a Bergamo“.
Questo scambio risale alla fine febbraio. Ieri pomeriggio Raffaele Masto purtroppo è morto dopo aver contratto il Covid19 in ospedale.
Raffa ha frequentato per qualche anno il centro di produzione tv nel quale lavoravo. Giornalista di razza, con il pallino dell’Africa, a me piaceva un sacco perchè era cialtrone quanto basta per essere bravo senza tirarsela, per comprendere il quadro d’insieme senza fare quello che ha capito sempre tutto. E poi, pur essendo uno che ha vissuto con la valigia in mano, parlava malissimo ogni lingua straniera del globo. Per questo, letteralmente, lo adoravo. Mi aiutava a sentirmi meno inadeguato di quanto fossi, a fare ciò che faceva lui.
Raffa aveva una mania: ogni tanto lasciava Milano, saliva sulla sua auto (allora guidava sempre delle vecchie carrette), imboccava l’autostrada verso Genova e arrivava fino all’area di sosta in cima al Turchino, lato mare. Si fermava, fumava una sigaretta, si godeva il panorama e poi tornava a Milano.
Non ricordo se me lo ha raccontato lui o un collega, non so nemmeno se sia vero. Però so che, da allora, quando passo sul Turchino penso a Raffaele Masto.
In ultimo: qui di seguito vi lascio i link con ciò che lui ha scritto (tanto e bene) sull’Africa. Ne ho letti un paio (“In Africa” e “Io Safya”, il suo capolavoro). Fatelo anche voi, ne vale davvero la pena.
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