Non sono diventato più buono nei 49 natali passati, dubito capiterà in questo. Non succede. Non può succedere. A Natale non si diventa più buoni. Se fosse vero l’umanità sarebbe popolata da 6 miliardi di Madri Terese e San Franceschi. Invece l’umanità è popolata da noi.
E’ da circa mezzo secolo che auguro “Buon Natale” al prossimo. Fino a qualche anno fa riuscivo a farlo quasi con entusiasmo. Il Natale lo “sentivo”. Certo, non avevo i capelli bianchi, ero un giovane padre, avevo un lavoro appagante, e mi godevo affetti sicuri.
Ora che tutto è così profondamente diverso da allora, tra un educato “Buon giorno” e un educato “Buon Natale” non ci sono significative variazioni di senso. Anzi, il Natale mi mette a disagio, mi ricorda cosa non ho più e non mi rasserena né sul presente, né, tanto meno, sul futuro.
L’ unica cosa davvero buona del Natale è che il 26 dicembre mattina è già un ricordo. E che il successivo è lontano 364 giorni. Un tempo ragionevolmente lungo.
Non mi auguro nulla per questo mio cinquantesimo Natale. Nulla. Sì, certo, che sia “clemente”, o per lo meno, che non infierisca, che non sparga sale sulle ferite. Sarebbe già un buon risultato.
Io non diventerò più buono, mi dispiace. Neanche questa volta. E, in coscienza, so anche che peggiorerò, che, Natale dopo Natale, diventerò la copia sempre più sbiadita e inacidita di ciò che ero trent’anni fa.
Il bicchiere mezzo pieno, c’è, lo so, ma lo guarderò dal 26 dicembre. Fino a Natale è solo mezzo vuoto.
P.S. Buon Natale
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